CARATTERISTICHE DEL CANTO GREGORIANO
Le caratteristiche del Gregoriano si basano su un adagio “La Chiesa canta la Parola, non le basta leggerla”. Con il Gregoriano Dio parla e la Chiesa canta restituendogli quella Parola fattasi suono per celebrare quella Parola fattasi uomo.
E' tutto qui.
Il Canto Gregoriano è un canto che in-canta nel senso che riesce a dilatare il cuore di chi lo canta e di chi lo ascolta accostandolo a Dio nell'adorazione e nel silenzio.
E' derivante da repertori precedenti (soprattutto Gallicano e Romano Antico) e imbevuto di mediterraneità (il Mediterraneo univa culturalmente l'Africa del Nord, il vicino Oriente, l'Europa) ed è costruito secondo particolari tecniche : cantillazione, amplificazione, uso di melodie tipo, di melodie centoniche, di melodie cicliche e tecniche musicali sperimentate in ambito semitico (maqam) e indiano (raga): le melodie derivano da cellule melodiche che si ripetono con variazioni.
Nel Gregoriano c'è pertanto qua e là profumo di Oriente, retaggio sinagogale, cantillazione babilonese, grandi melismi gallicani, circolarità romana, slancio beneventano, vocalizzi ambrosiani e ispanici, salmeggi arabi, fioriture bizantine.
CANTO GREGORIANO E TEMPO
Il Canto Gregoriano è un mondo meravigliosamente attuale e collegato a un periodo, quello dell'Alto Medievo, in cui tutto concorreva, nel pensiero e nella pratica, a Dio : come in una vera e propria reductio ad Unum: le arti, le scienze, la vita quotidiana tutto era per condurre a Dio.
I monaci e gli altri uomini di fede avevano pertanto interiorizzato e vivevano un senso circolare del tempo rispetto al senso del tempo delle epoche recenti dove c'è invece più una dimensione lineare.
La circolarità della vita era nel monastero una metafora della circolarità dell'Anno Liturgico e, più in senso lato, dell'eternità della gloria di Dio il quale, come si recita nella Dossologia Minore “ sicut erat in principio, et nunc et semper”, racchiude in Sé i tre tempi teologici (passato, presente e futuro).
Così ogni giorno il monaco si svegliava “aprendo le sue labbra” per dare lode con il suo canto a Dio e lo continuava a fare per tutto il giorno fino ad addormentarsi in Lui per poi ridestarsi per un nuovo giro e così via per tutti i giorni della sua vita. E poi ancora: il Salterio è basato sulla circolarità delle settimane, i brani della Messa sulla circolarità dell'Anno liturgico, gli scranni del coro monastico a mimare un processo senza fine. E quando ascoltando o cantando una S.Messa in Gregoriano si riuscisse ad avvertire una dilatazione temporale, ecco quella sensazione è proprio ciò che il Gregoriano può riuscire a evocare e creare : l'hic et nunc apud Deum in cui gli attori non sono i protagonisti, non hanno un nome, non ricercano una visibilità ma, al contrario, hanno in animo solo di con-fondersi nell'Eterno.
L'anonimato è proprio del Gregoriano nel senso che anonimi sono per lo più i compositori, anonimi gli scribi che trascrivevano un'anonima tradizione, anonimi i cantori : il Gregoriano non ha bisogno di autori, compositori, solisti ma solo di preghiera.
La grande attualità del Canto Gregoriano deriva dall'essere preghiera in canto, Liturgia cantata.
La Chiesa affonda molte sue radici nella ripetitività rituale ribadita di una Tradizione che non è nostalgia di un'epoca remota ma appunto il dolce abbandono nella circolarità temporale e porta d'ingresso nell'eternità.
REPERTORIO DEL CANTO GREGORIANO
Esistono due grandi categorie di canti: il Repertorio della Messa e il Repertorio dell'Ufficio.
Il libro dei canti della messa è il Graduale; il libro delle Ore è l'Antifonario.
Per il Repertorio della Messa i canti si dividono in ulteriori due categorie : i canti del Proprio e i canti dell'Ordinario.
Tra i canti del Proprio (ogni giorno diversi) ci sono: Introito (canto di ingresso), Responsorio Graduale (l'antenato del salmo responsoriale), Alleluja,Tratto (in Quaresima al posto dell'Alleluja), Sequenza, canto di Offertorio, canto di Comunione.
Tra i canti dell' Ordinario (afferenti a Messe Proprie ma uguali per un periodo di tempo più o meno lungo es. Missa Lux et Origo) ci sono : Kirie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei.
Per il Repertorio dell'Ufficio (le Ore sono : Mattutino, Lodi, I, III, VI, IX, Vespri, Compieta) i canti sono per intenderci quelli cantati dai monaci e dalle monache (ma anche dai secolari e dai laici) nel coro liturgico e sono: antifone ai salmi cantati, responsori semplici e prolissi, inni...
Alla base dell'idea originaria della creazione di brano Gregoriano ci sono vari step.
Il primo materiale per la composizione di un brano Gregoriano è il Testo che non sempre però è preso come tale dalla Scrittura e spesso è predisposto al canto con una prima lavorazione orientata all'esegesi (e secondo la tradizione ecclesiale) con appositi strumenti retorici: una porzione del Testo può venire estrapolata, sostituita, centonizzata, rielaborata, selezionata per una piena comprensione del Testo stesso (es. il Testo Paolino del Graduale del Giovedì Santo Christus factus est oboediens diviene Christus factus est pro nobis oboediens).
Il secondo materiale per la composizione di un brano Gregoriano è l'Estetica che riguarda stili, forme e melodie.
Esistono tre grandi stili per definire un brano gregoriano: lo stile sillabico (una o poche note per sillaba), lo stile semiornato (un po' più di note per sillaba) e lo stile ornato (anche veri e propri melismi ossia fioriture di note). Ma c'è possibilità- a volte necessità- di variazione e commistione nel senso che talora in un canto sillabico c'è la sorpresa di una fioritura melismatica e, viceversa, in un canto ornato a un certo punto ci può essere l'effetto di una parte con pochissime note).
Esistono tre grandi forme per definire un canto gregoriano: la forma antifonica, la forma responsoriale e la forma diretta. La forma antifonica prevede l'alternarsi di due semicori; la forma responsoriale l'alternarsi di un coro e del solista (come ci fosse un ritornello); la forma direttanea ha una esecuzione continua. Così, per i canti della Messa : introito e communio hanno forma antifonica; graduale, alleluja e offertorio (se fatto con i versetti) hanno forma responsoriale; i Tratti di Quaresima e i Cantici della Vigilia di Pasqua hanno forma diretta; per i canti dell'Ufficio : le antifone dei Salmi hanno forma antifonica, i responori prolissi e quelli semplici hanno forma responsoriale.
Esistono poi tre grandi modi compositivi per costruire la melodia gregoriana : le melodie tipo (es. tutti i Graduali in La), le melodie centone (stessi frammenti melodico-ritmici es. nei Graduali di V Modo) e le melodie originali. Ma tutti e tre i tipi di composizioni sono accomunate anche dalla “logica formulare” la quale è basata sul principio dell'allusione: poche o pochissime note che alludono a una formula, a una cellula formulare, per esaltare un testo. Tutto il Repertorio Gregoriano è cioè un tesoro formulare e il testo stesso richiede l'uso di formule in vista della sua esegesi in contesto celebrativo.
Il terzo materiale per la resa della composizione di un brano gregoriano è il fatto Retorico-Esegetico che si esplica nell'utilizzo, in un determinato Testo, dei neumi in campo aperto che dicono della traduzione di un pensiero, rivelano una esegesi, richiamano la memoria, sono memoria sonora.
Con l'uso (e lo studio) dei neumi adiastematici non è tanto importante allora solo cosa cantavano ma anche come lo cantavano, il suono di quello che cantavano che era stato allestito con la meditazione profonda di un testo, spesso elaborato, per palesare in quell'occasione liturgica un determinato concetto profondamente meditato dalla tradizione ecclesiale.
CANTO GREGORIANO E MUSICA
Il canto Gregoriano è il canto della Parola e la musica è a servizio del Testo.
C'è veramente una grande identità tra Scrittura e fatto musicale proprio per lo scopo di mettere in rilievo la Parola di Dio in un determinato momento liturgico.
Un vecchio adagio monastico recita così: la Parola è un fiore in boccio, poi interviene la melodia cantata e il boccio si apre e nasce la Preghiera.
Il Canto Gregoriano nasce in un'epoca in cui non esisteva la definizione delle note, non esisteva la musica intesa in senso moderno, non esistevano le tonalità, non esisteva il tempo di un brano.
Il ritmo era dato dalla melodia che sapeva far risaltare un certo testo in un determinato contesto.
Le composizioni sono per la più parte anonime: gli Antichi Padri hanno saputo accogliere la ispirazione dello Spirito per creare capolavori di impareggiabile bellezza ma soprattutto di notevole contemplazione.
Il Testo doveva essere meditato, cantato per poi essere ruminato e contemplato. Questo canto è stato creato con questo scopo: far proseguire, nella piccola eternità del silenzio dopo il canto, la fertilità dell'orazione, della contemplazione, dell'adorazione.
La ruminatio che è poi quell'atteggiamento spirituale alla base della Lectio divina (che prevede quattro gradini: lectio, meditatio, oratio, contemplatio ossia lettura del passo, riflessione su di esso, preghiera e contemplazione finale) e che il canto aiuta nel suo fungere da veicolo di recordatio anche nei momenti successivi all'azione liturgica : perchè il Testo sia macerato, assimilato, interiorizzato.
Dopo il periodo dell'oralità, il canto Gregoriano viene scritto e il percorso che va dalla memoria al segno dice a noi oggi come quei testi erano stati concepiti, intesi e resi.
UNICITA' DEL CANTO GREGORIANO
Una meraviglia del Canto Gregoriano è la sua unicità.
Voglio dire che ogni brano è cantato solo per quell'occasione specifica e in quel giorno specifico e questo è rafforzato dalla simultaneità della esecuzione in tutta la Cristianità.
Per esempio, l'introito di Pasqua, Resurrexi et adhuc tecum sum, era cantato solo nel giorno della Resurrezione e contemporaneamente in tutte le chiese del mondo cristiano e poi per secoli quel giorno, ossia il giorno di Pasqua, faceva risuonare dappertutto quel canto lì e solo quello.
Ogni evento della vita e della Liturgia è basato prima su un periodo di attesa, poi c'è l'evento e dopo c'è la risonanza dell'evento. Ecco, nell'es. del Resurrexi, esso è preparato e atteso per tutta la Quaresima, poi è cantato, celebrato solo in una occasione e poi i benefici della risonanza di quel canto sono gli stessi della risonanza della Resurrezione, figlia della Passione e morte di Gesù, in ciascuno dei figli di Dio che hanno aperto il cuore al Risorto.
Allo stesso modo, il grande digiuno quaresimale dell'Alleluja è rotto nella notte di Pasqua dall'Alleluja un cui “cammeo melodico” era tuttavia già risuonato a metà del cammino di Quaresima nell'introito Laetare Jerusalem (a metà di due Tempi Forti a spiccato carattere penitenziale come l'Avvento e la Quaresima ci sono due Domeniche accomunate da un prodromo dell'evento che si sta preparando, rispettivamente il Natale e la Pasqua : questo piccolo preannuncio luminoso viene reso dallla sapienza della Chiesa, che si nutre dell'ispirazione dello Spirito e della forza della tradizione, sia con il sentimento dei canti di queste due domeniche che esprimono il senso dell'antipasto della gioia (Gaudete in Domino semper!, Laetare Jerusalem!) pur in un periodo di attesa della maggiore gioia, sia con la scelta dei paramenti: la III di Avvento e la IV di Quaresima infatti paiono far pregustare anche visivamente alla comunità in preghiera la grande luce (quella della nascita e della resurrezione di Gesù) sfumando il viola del Tempo in un colore più rosaceo.
E, in tutto il Tempo Pasquale, c'è un rifarsi del digiuno dell'Alleluja con infarciture testuali della parola Alleluja nei canti e, in più, la sostituzione del canto interlezionario, il Graduale, con una prima Alleluja: fino a Pentecoste, si cantano due Alleluja perchè ancora più manifestata e trasbordante sia la gioia. Così tutto concorre, i segni, i paramenti e anche il canto, alla celebrazione.
BREVE STORIA DEL CANTO GREGORIANO
Il canto Gregoriano è la summa di repertori precedenti, è la lingua comune della Cristianità.
Nasce in epoca carolingia (VIII) per fusione tra il repertorio cosiddetto Gallicano e il repertorio Romano Antico. Questi due repertori precedenti al Gregoriano (come pure precedono per nascita il Gregoriano anche il canto Milanese, il canto di Aquileja, il canto di Benevento e l'Ispanico) furono presi come base per costituire un repertorio unico che unisse Roma e l'Impero e desse un linguaggio comune a tutto il Cattolicesimo nella comune lingua latina.
Perchè si chiama Gregoriano? Il popolare pensiero dice perchè riferito a S.Gregorio I (Magno) che tuttavia è antecedente (VI secolo) e non ha composto nulla di questo repertorio, in realtà è perchè riferibile alla figura di Gregorio II (VIII) e il fraintendimento origina dalla mala interpretazione del tropo Gregorius presul dell'introito della I di Avvento Ad te levavi di certuni codici, proprio all'inizio del libro. Questo esordio avrebbe ingenerato la leggenda inesatta che sia stato un Gregorio, e in particolare Gregorio I, a dedicarsi al repertorio.
E' un canto liturgico prevalentemente monodico anche se già fin dal suo esordio vigeva la prassi di secundare o triplicare le melodie (famosi i parafonisti che in certi luoghi erano stipendiati e proprio dagli estratti contabili dell'epoca se ne conosce l'esistenza e la funzione).
E' un canto liturgico prevalentemente eseguito per sole voci anche se non si esclude la prassi di accompagnamento con delicati strumenti a corda (la prassi del canto in alternatim con l'organo è invece più tardiva rispetto al fondo primitivo del Gregoriano, ossia l' VIII-XI secolo, come peraltro l'accompagnamento strutturato alle funzioni da parte dell'organo stesso).
E' un canto che solitamente si esegue a voci non miste perchè i monasteri sono o maschili o femminili, ma ci sono testimonianze di celebrazioni a voci miste soprattutto in occasione delle solennità. Per esempio nei monasteri doppi (tipo Klosteneuburg in Austria che aveva monastero maschile e femminile e, pure, doppio scriptorium).
I primi codici di Canto Gregoriano riportano solo il testo e la trasmissione delle melodie avveniva per via orale. Quando l'oralità comincerà a divenire più fragile, gli scribi cominciano a “notare” su pergamena degli strani segni, a seconda degli scriptoria e delle notazioni, che non erano in grado di dare l'esattezza di un andamento melodico (anche perchè non esistevano ancora né le note né il rigo musicale che solo con Guido d'Arezzo, e siamo nel 1000, avranno la loro valenza pedagogica).
Ma quei segni, detti in campo aperto, erano la trascrizione su pergamena dell'intenzione musicale ed esegetico-musicale dei copisti che erano musici, liturgisti, teologi e cantori (i così detti notatori-interpreti)
Quando poi la memoria decadrà ancora di più, e nasceranno come sussidi il rigo e le note, da un lato si avrà più contezza del ricordo di una melodia, ma dall'altro si comincerà a perdere tutta quella miniera di informazioni non solo musicali ma appunto teologiche, spirituali, ritmiche e di traduzione di un pensiero complesso.
Il periodo d'oro del Gregoriano, quello della oralità e dei codici adiastematici (in campo aperto) va quindi solo dalla sua origine alla fine dell'XI secolo, poi piano piano comincia un periodo di decadenza che lo fa alterare e inaridire sempre di più tanto che la sua originale vivacità e musicalità viene perduta e si arriva in epoche recenziori anche in certuni casi a mutilare le melodie (Editio Medicea, Agostiniani)
Solo nel XIX secolo l'abate dom Gueranger dell'abbazia di Solesmes promuove una rinascita di questo patrimonio il cui profumo originario si era perduto. L'abate solesmense invia monaci in moltissimi monasteri e scriptoria in tutta Europa a fotografare e copiare gli antichi codici : nasce l'atelier di Paleografia dove vengono catalogate, studiate e messe a confronto centinaia di versioni diverse delle stesse melodie. Nasce un approccio scientifico a favore del recupero della originale sonorità del canto Gregoriano e della restaurazione delle melodie degli Antichi Padri.
Vengono così ricercati e considerati i migliori manoscritti in campo aperto e vengono annotati i neumi in veri e propri tableaux comparativi. Tuttavia in quegli anni la reale natura estetico musicale di questi segni non è ben compresa del tutto e certuni neumi sono annotati con dubbi e interrogativi : non se ne conosce la qualità, la funzione, il senso.
A fine Ottocento nascono così le redazioni di quelle melodie che saranno la base del Liber Gradualis e del Liber Antiphonarium che poi porteranno al Liber Usualis e al Graduale Romanum di inizio Novecento. Ma questi libri, pur utilissimi, si basavano su codici soprattutto di area francese già tardivi (fine XI) che avevano perduto l'aderenza alle originarie fonti. In più, nei casi dubbi, c'è un vero e proprio adattamento basato su come stesse bene, se cantata, una melodia.
I monaci solesmensi arrivarono ad adattare i passaggi meno chiari.
Si diffonde anche in quegli anni il cosidetto “Metodo di Solesmes” che è una teorizzazione pedagogica semplificata aderente a concetti moderni di musica e che prevede svariati e arbitrari appoggi ritmici mensurali.
Occorrerà attendere la nascita della luminosa stella di dom E.Cardine che, pur formatosi a Solesmes, se ne staccò ideologicamente e seppe fondare la scienza della Semiologia, ponendo le basi per una rigorosa analisi scientifica del segno in campo aperto non fine a se stessa ma come studio per comprendere come il notatore abbia ragionato per dire qualcosa relativamente a un contesto, per giungere a una definitiva spinta spirituale e scientifica.
E due suoi allievi del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma copiarono i neumi in campo aperto, e siamo al 1979, al di sotto e al di sopra delle note quadrate del Graduale Romanum del 1974 aprendo per la prima volta il sipario su una lettura plurima della partitura: era nato il Graduale Triplex, festeggiato quest'anno in un Convegno internazionale ad Assisi per i suoi primi 40 anni.
Ma qualcosa ancora non tornava: il Graduale Triplex che pure aveva permesso un salto quantico nella interpretazione e nella resa dell'idea dell'amanuense, perchè con questo libro si accede alla intenzione del notatore di Laon e a quelli di scuola Sangallese, aveva nel suo supporto moderno, ossia le note quadrate, la pecca che queste derivavano per lo più appunto da codici di area francese e tardivi che già avevano perduto l'adesione all'origine. E anche l'altra grande disciplina che nasceva in quei fecondi anni 70/80 del Novecento, ossia quella delle Articolazioni Ritmiche (per parto di don Luigi Agustoni e del prof. J.B.Göschl), evidenziava il vizio, nella notazione delle note quadrate ancora del Graduale Triplex, di non rispettare il senso ritmico dei neumi in campo aperto.
Occorreva allora revisionare tutte le melodie e rendere anche le note quadrate consone all'intendimento degli scribi del IX secolo. Già il Concilio Vaticano II aveva raccomandato una editio magis critica del Graduale Romanum e così si è costituito un espertissimo gruppo di lavoro creato da alcuni degli allievi di dom Cardine e poi dai loro allievi che in trent'anni di lavoro hanno stampato le restituzioni melodiche e corretto anche la Vaticana : era nato (2011) il Graduale Novum anche se già dalla nascita del Graduale Triplex generazione di studiosi e cantori di Gregoriano avevano avuto con il Graduale Triplex uno splendido compagno per capire i segni in campo aperto e avevano operato a matita quelle correzioni nelle note quadrate.
Tra le Sollecitudini di San Pio X e dei Padri Conciliari del Vaticano II c'era stata l'intuizione di quale preziosità abbia questo patrimonio attualissimo (perchè è il suono di Dio) e che se studiato, interiorizzato, pregato e cantato con stile e gusto, può essere un potente strumento liturgico da cui potersi lasciare condurre alla devota contemplazione del Mistero.
Padre E.Cardine assorto tra i neumi
COME ERA SCRITTO IL CANTO GREGORIANO?
Prendiamo come esempio il communio (canto di comunione) della prima messa di Natale (a Natale ci sono ben tre Messe con brani differenti : la Messa della notte, la Messa dell'aurora e la Messa del giorno) In splendoribus sanctorum tratto dal Salmo 109. Dice il testo:
In splendoribus Sanctorum, ex utero ante luciferum genui te.
(Sal 109,3)
Nello splendore dei Santi, dal grembo, prima dei Tempi ti ho generato.
All'inizio era forte la trasmissione orale e questo communio Gregoriano aveva, nei libri liturgici, questo aspetto qui:
Graduale di Compiegne (seconda metà IX)
Ossia solo il testo perchè la melodia e gli aspetti interpretativi erano ben vivi nella prassi esecutiva.
Qualche tempo più tardi la memoria comincia a cedere un po' e allora c'è il passaggio dalla memoria al segno, appunto con l'aggiunta di segni come esemplificato qui sotto per lo stesso brano.
E (960-970) cod. Einsiedeln, Stiftsbibliothek 121. Graduale, notaz. di Einsiedeln, adiastematico
Dopo il 1000, poi, viene sistematizzato il rigo musicale e codificate le note: si aggiunge qualcosa in più ma, proprio codificando, inevitabilmente si va a perdere l'adesione alla freschezza originaria.
Se c'è la necessità di fissare su pergamena, di definire, significa che la memoria è ancora più fragile e si sta perdendo sempre più il pensiero musicale dell'origine.
Nell'esempio qui sotto, cavato da un codice tardivo (fine XI) su cui si basarono molto i Padri della notazione Vaticana (la notazione quadrata del Graduale Romanum), i segni sono ancora neumi in campo aperto ma, in più, c'è l'aiuto delle note (non scritte come si è abituati do-re-mi-fa-sol-la-si, ma secondo la notazione alfabetica a-b-c-d....dove la “a” è il la e tutto è di conseguenza).
Tuttavia al tempo di questi codici le note scritte non erano sempre esatte, non rispecchiavano la melodia originaria (l'esempio sotto invece ha corrispondenza).
Mp (fine XI) cod. Montpellier, Bibl. de la faculté de Medecine H 159, Graduale, doppia notazione: francese adiastematica e alfabetica “a-p”
Ancora oltre nel tempo, lo stesso brano appare sempre più “fissato” e l'esempio seguente vede lo stesso brano incastonato, quasi ingabbiato, in un tetragramma (quattro righi), con una chiave (in questo caso di DO) che ci comunica l'altezza delle note e delle note bene precisate :
Graduale della St. Thomaskirche di Lipsia (Leipzig). fine XIII-inizi XIV sec.
Ma guardando e cantando da una pagina così si perde tutta la freschezza del brano (manca la vita) se non si ha viva la memoria dell'interpretazione ritmico-testuale del canto originario.
COME E' SCRITTO OGGI IL CANTO GREGORIANO?
Lo studio scientifico è stato fatto in maniera scientifica e analitica e ha considerato, per ogni brano, almeno una ventina di manoscritti tra i migliori adiastematici e diastematici.
Tuttavia andare a consultare direttamente questi tesori paleografico-musicali porta a scoprire le piccolissime diversità che i neumisti avevano tra di loro, evidenziando la loro personalità precipua nel mettere in rilievo un concetto e ricopiando a mano i neumi delle varie scuole notazionali permette di entrare nel sentire del notatore.
Oggi i libri liturgici di canto per la Messa appaiono con un lay out che prevede sia le note quadrate corrette secondo le restituzioni melodiche ufficiali, sia la copia dei migliori manoscritti adiastematici al di sopra e al di sotto (in particolare al di sopra sono riportati i neumi del codice di Laon e al di sotto quelli di scuola sangallese e affine). I libri liturgici di canto per l'Ufficio vanno integrati ricopiando i neumi in campo aperto del codice di Hartker.
Esempio del brano In splendoribus (sopra riportato nelle varie epoche) come appare nel Graduale per i canti della Santa Messa per una visione triplice e comparativa:
COME AVVICINARSI AL CANTO GREGORIANO
Con semplicità, accoglienza, umiltà; con fede, desiderio di fare agire la Parola, consapevolezza della forza di questo dono che non è del singolo ma ha senso se riverberato da cuore a cuore.
Il Canto Gregoriano è un cibo da consumare nella fraternità, nel cerchio orante che è colletta delle singole voci e si impreziosisce del contributo che ciascuno può offrire.
Il Canto Gregoriano può insegnare a pregare con gli altri e a cantare con gli altri e non sugli altri; a pregare cantando per Cristo, con Cristo e in Cristo; a rendere invisibile il proprio orgoglio e la propria personalità per miscelarsi nella comune lode a Dio.
Il Canto Gregoriano dona quella invisibilità a ogni individualità che è la chiave per aprire la porta della comunione di preghiera, similmente alla recita del Santo Rosario che nell'orazione comunitaria accresce la forza e l'intensità del pregare proprio perchè assieme ad altri.
Per farsi entusiasmare da questo mondo è sufficiente aprire il cuore e approcciarsi con una ottica poliedrica dell'interpretazione che sia grande supporto all'unità dell'autenticità del significato espressivo trasmesso e semplicemente permettere che questo agisca nell'interiore.
Nessuno può dirsi maestro o esecutore secondo la materiale visione delle categorie estetiche, ma chiunque può farsi prendere per mano dalla Parola e dall'orazione con il canto veicolata e innalzata ininterrottamente in un humus di spiritualità che è il giardino dove incontrare il Signore.
Ecco, forse l'immagine del giardino può aiutare a vincere le timidezze o le prevenzioni: cantare il Gregoriano è come entrare delicatamente in un giardino storico pieno di essenze e piante antiche, seminate come in una creazione e curate nei secoli da illuminati giardinieri, e i cui profumi e gemme e fiori vanno assaporati con morbidezza e non tanto per un godimento sensoriale personale ma per un abbandono come di estasi dinanzi al Mistero, nella condivisione ecclesiale.